Un elemento fondamentale di comunione e crescita
In questi giorni è iniziata una lunga settimana dedicata al tema dell’educazione che ci invita a riflettere sulle capacità che gli oratori hanno oggi nell’educare le giovani generazioni e ad avere cura della nostra comunità.
In queste settimane la FOM (Fondazione Oratori MIlanesi) ci invita a sviluppare il tema della “diocesanità”. Lavorare sul tema della diocesanità nella Settimana dell’educazione significa mettere al centro la nostra capacità di educare i più giovani al senso di appartenenza alla Chiesa e valutare insieme quali siano le scelte e i passi in avanti da compiere perché ragazzi, preadolescenti e adolescenti possano fare esperienza di Chiesa e comprendere di far parte di una comunità che ha un respiro diocesano e universale.
Nell’approfondimento diocesano dal titolo “La diocesanità degli oratori ambrosiani” ci vengono ricordati i vari passaggi che nel corso della storia hanno portato a formulare una determinata 'idea di diocesi che culminò il 15 gennaio 1924 quando l’Arcivescovo di Milano, il cardinale Eugenio Tosi, dopo un convegno tenutosi a Monza fra il 20 e il 23 settembre 1923, firmò e promulgò il nuovo statuto della FOM estendendo il coordinamento degli oratori della sola città di Milano a tutta la Diocesi.
Naturalmente quello fu un passo decisivo perché permise di considerare l’oratorio come uno degli strumenti adeguati alla cura e all’educazione delle giovani generazioni.
Dunque, ogni oratorio della diocesi fu chiamato a non considerare come unico il riferimento parrocchiale ma sviluppare una visione ecclesiale più ampia e che si rifacesse alla figura del Vescovo che genera un senso di reciprocità e comunione tra i vari oratori.
L'obiettivo era quello di creare un’azione comune che collegasse tutti gli oratori ambrosiani al fine di generare un senso di appartenenza e comunione che potesse agire su più livelli cercando di migliorare l’azione pastorale ed educativa di ciascun oratorio.
A questo punto la domanda che ci viene posta è la seguente: Come gli oratori oggi possono vivere la diocesanità?
Per poter rispondere a questo quesito dobbiamo tenere a mente alcuni aspetti.
Il primo è la comunione del Vescovo con i suoi oratori e degli oratori con il suo Vescovo. In oratorio, infatti, si cerca di tradurre la proposta pastorale dell’Arcivescovo di Milano per i ragazzi e le ragazze degli oratori per permettere anche a loro di poter crescere all’interno del cammino della Chiesa di Milano.
Inoltre, l’oratorio è espressione della passione educative del suo territorio, della comunità locale ed è, nel suo contesto specifico, che introduce alla pienezza del mistero della Chiesa.
L’invito che ci viene fatto è quello di educare ad un senso di appartenenza che ci faccia sentire parte di una comunità che insieme cammina e che accoglie tutti.
Ecco che l’oratorio si conferma come uno “strumento educativo” che non appartiene a nessuna persona o a nessun gruppo in particolare ma come diceva Giovanni Paolo II “è un segno di cura, un avamposto dell’unica Chiesa per cui tutti noi siamo al servizio, un poste fra la Chiesa e la strada. In questo modo ciascuna persona, dagli animatori ai volontari, può collocarsi nella giusta prospettiva operando per “mandato” e non a titolo personale.
Il secondo punto è l’atteggiamento di comunione degli oratori che permette di uscire da qualsiasi logica di autoreferenzialità personale o comunitaria e che si esprime grazie ad un cammino condiviso fatto di incontri, scambi di esperienze e momenti di condivisione.
Un terzo elemento lo si può trovare nella collaborazione degli oratori dello stesso territorio dove spesso la condivisione, la collaborazione organizzativa sono semplicemente e unicamente la risposta ad una difficoltà gestionale quando, invece, dovrebbero essere condizioni indispensabili per lo svolgersi al meglio delle attività educative e pastorali proprio perché permettono di ampliare e approfondire quelle funzioni interpretative della realtà in cui si è immersi necessarie per creare un cammino educativo di qualità.
In questo compito aiutano il decanato, la comunità pastorale e l’unità della pastorale giovanile che permettono agli oratori di scommettere sulla realtà locale con consapevolezza e coesione. L’approfondimento, però, sottolinea il pericolo di cadere nella tentazione dell’assolutezza di uno schema pastorale che, invece, deve essere funzionale all’interpretazione del territorio. La pastorale è un mezzo, non un fine.
Il quarto e ultimo tratto della diocesanità è la cura degli oratori più poveri che spesso coincidono con gli oratori che vivono contesti sociali e urbani più svantaggiati. Questi oratori anche se numericamente modesti con risorse limitate a disposizione svolgono un ruolo importante all’interno della nostra diocesi proprio perché il lavoro di questi oratori diventa esemplare per tutti quelli che invece abitano un contesto meno problematico. Queste realtà permettono di ricordarci quale è la funzione che siamo chiamati a svolgere, ovvero, educare ragazzi e adolescenti (soprattutto quelli che non frequentano l’ambiente oratoriano).
Infine, possiamo dire che la comunione e la sinergia tra gli oratori di una stessa diocesi permette di superare alcuni ostacoli grazie a determinate scelte pastorali che devono puntare ad una visione “missionaria” ed “educativa” che da sempre contraddistinguono la vita oratoriana.