IV DOMENICA DOPO IL MARTIRIO

25 settembre 2016

Le letture di queste domeniche dopo il Martirio di San Giovanni Battista ci fanno tenere fisso lo sguardo su Gesù per aiutarci a scoprire ogni volta alcuni aspetti importanti della sua persona. Se avete notato, in tutte e tre le letture di oggi si parla di una cosa molto bella: del mangiare e del bere. Bella e fondamentale, perché mangiare bene è bello, ma in ogni caso mangiare è fondamentale se si vuol vivere. Ne sanno qualcosa quei milioni di esseri umani che, appunto, muoiono di fame. Forse, proprio perché mangiare è cosa così bella e fondamentale, Gesù fu proprio a tavola che fece e disse le cose più importanti della sua vita. Perché come il corpo ha bisogno del buon cibo per nutrirsi, anche l’anima ha bisogno di nutrirsi bene. E facendo questi banchetti voleva far capire che è Lui il cibo per la nostra anima, non altre cose. Per questo San Paolo, ai Corinti, dice di stare attenti a quali banchetti si partecipa, perché un conto è partecipare a quello del Signore, un altro a quello dei demoni. Il calice dei demoni, dice, che è un’immagine che richiama quando beviamo qualcosa di drogato che poi fa star male e da le allucinazioni. È quando nutriamo la nostra anima non con la parola di Gesù, ma assimilando altre parole, quando si vive sempre in contatto e in compagnia di persone che il pensiero di Cristo non sanno nemmeno dove sta di casa, per cui invece di essere noi a comunicare loro la vita di Dio, sono loro a farci allontanare da Lui; è quando facciamo diventare le cose e le persone degli idoli, degli assoluti che prendono il posto di Dio, e così uno vive per i soldi, il successo, l'apparenza, il lavoro, la salute, pensa solo a stesso, a star bene lui e i suoi cari e chi se ne frega degli altri, e così vive in affanno, pieno di paure, in difensiva, perché ha paura di perdere queste cose, pensa che se le perde, ha perso tutto, poi alla fine comunque si perde tutto perché si muore, uno pensa che la morte è la fine di tutto, e così va in crisi e butta via l’esistenza. Invece Dio desidera il contrario. Che noi partecipiamo al suo banchetto. E il banchetto più importante che Gesù fece fu durante l’ultima cena dove inventò la messa. Tanto è vero che ogni volta che celebriamo la Messa cosa dice il prete? Beati gli invitati alla Cena del Signore. Dice beati, e quindi tutti dovrebbero essere felici, e invece spesso il prete vede davanti a sè delle facce smorte, ma non perché sono stanche o la messa è durata troppo, ma perché non ci si rende conto di quello che si sta facendo. Nella prima lettura si diceva che Dio è come un architetto che costruisce una casa perfetta e solida, antisismica, e prepara un banchetto a cui invita tutti gli inesperti per renderli sapienti con la sua sapienza, con la sua Parola. Come a scuola, solo che nella scuola di Dio non ci sono i banchi, ma c’è un banchetto, con sopra del cibo sostanzioso e dell’ottimo vino. Questa cosa del banchetto, del pranzo, della cena, del mangiare e del bere insieme, è segno di vita, di gioia, di fraternità, di comunione, di amore. Purtroppo oggi il gusto di stare a mangiare insieme lo si è perso, anche in famiglia, dove magari uno mangia in piedi, o mangia prima o mangia dopo e quando è a tavola guarda il cellulare o la tv invece di parlare con gli altri. Però non c'è una festa nella quale non ci sia qualcosa da mangiare e da bere. Che belle quelle feste dove ciascuno porta qualcosa da mangiare per gli altri. Che brutto quando qualcuno se ne sta isolato e non partecipa o viene escluso. Nella Messa il tavolo è l'altare (la mensa), le sedie purtroppo sono in legno o in plastica e non sono molte comode, ma che brutto quando succede che, soprattutto le volte in cui in chiesa c’è poca gente, che qualcuno si mette isolato, da solo, da una parte, lontano dagli altri, standosene sempre zitto perché non risponde e non canta insieme agli altri, oppure parlando a sproposito quando dovrebbe stare zitto e si fa gli affari suoi. Mangiando tutti lo stesso cibo, diventiamo tutti una cosa sola, pur restando ognuno se stesso, dice sempre san Paolo nel brano di oggi. Come allo stadio quando persone diverse tifano insieme per la stessa squadra. Mangiando tutti lo stesso cibo che è Gesù, presente realmente nei segni del pane e del vino, diventiamo tutti una cosa sola con Lui. Una cosa, questa, che scandalizzava i suoi ascoltatori che non credevano in lui e che dicevano, lo abbiamo letto: ma come fa costui a darci la sua carne da mangiare? Anche a noi può apparire strana questa cosa e chi non la capisce potrebbe pensare che i cristiani sono dei cannibali. In realtà non è così. Il punto è che per parlare di cose spirituali bisogna usare delle immagini e dei segni terreni, come Dio che è Spirito e che per comunicarsi agli uomini si è fatto uomo. Questa cosa di un Dio che vuole farsi mangiare da noi non è così strana, se ci pensate bene. Chi non ha mai detto o sentito quella frase che si dice a qualcuno quando lo si ama immensamente: ti mangerei!!?? Voler mangiare chi si ama e farsi mangiare da chi si ama esprime il desiderio di unirsi totalmente alla persona amata. Quando nel pane mastico il suo corpo, quello è il bacio del suo amore. La carne, il corpo di Gesù è la sua umanità. Uno diventa quello che mangia, se mangia cose buone o cattive lo si capisce da come sta dopo in salute. Mangiare il suo corpo vuol dire assumere la sua umanità, voler essere uomini e donne come Lui, ed è Lui che rende possibile questa cosa dandoci se stesso come cibo. Ma non è un rito magico. Non è che per magia, facendo la comunione, mi trasformo. Un cibo o una medicina fanno effetto anche se io non mi accorgo di quello che sto prendendo, anche se non mi piacciono, anche se non voglio prendere il cibo e la medicina. Nel caso dell’eucaristia non è così. Il processo di assimilazione è lento, dura tutta la vita. Masticare il suo corpo vuol dire ascoltare e assimilare la sua Parola, farla entrare in me, imparare a pensare come Lui e, soprattutto, desiderarlo. Se non lo desidero, non succede niente; ma se lo desidero e lui non mi desse se stesso, non ce la farei. E se lo desidero, se mi nutro del suo corpo cosa succede? Che beviamo anche il suo sangue. Il sangue è la vita, senza sangue si muore. Assimilando il suo corpo, Gesù ci dona il suo sangue, cioè la sua vita divina, ci dà il suo Spirito, e quindi ci fa diventare come Lui, ci toglie il nostro sangue infetto che ci fa ammalare, che ci fa vivere male la vita, nell'egoismo, nella stupidità, nel non senso, nelle nostre paure, e ci dà la vita divina, ci fa risorgere adesso, ci fa diventare come Lui, e diventando come Lui diventiamo come Dio, e scopro che diventare come Dio non vuol dire andare in giro a fare miracoli o a comandare su tutti, ma andare in giro ad amare, a perdonare, a prendermi cura di tutti, a farmi servo di tutti, a lavare i piedi a tutti, perché Dio è questo, e questa è la vita eterna, la vita divina che ci fa essere donne e uomini veri. (don Marco Rapelli)