VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO

9 ottobre 2016

C’è una bellissima parola che tiene unite le letture di questa ultima domenica del tempo dopo il Martirio di san Giovanni Battista, la parola accoglienza, ospitalità. La lettura racconta del profeta Elia che viene accolto in casa da una vedova, che era una donna pagana. Il salmo descrive l’amore di Dio che accoglie la preghiera di chi confida in lui. Il brano della lettera agli Ebrei, che tocca diverse questioni che ora tralasciamo, è stato scelto per la frase iniziale che dice: non dimenticate l’ospitalità, alcuni praticandola hanno accolto degli angeli senza saperlo. E qui i riferimenti sono ad Abramo quando accolse i tre i uomini alle querce di Mamre, a Lot quando accolse due angeli nella sua casa, alla madre di Sansone quando accolse l’angelo che le annunciò la nascita del figlio, a Tobia che accoglie l’arcangelo Raffaele che lo accompagna nel suo viaggio. La parola angelo significa messaggero che annuncia la Parola di Dio, e indica dunque Dio stesso che si manifesta, che parla, che chiede di essere accolto. Il primo modo per accogliere Dio è quello di ascoltare la sua Parola. Quanto tempo nella vita dedichiamo per fare questo? Magari neanche quando siamo in chiesa dove la Parola di Dio viene letta e alcuni dormono e altri non la capiscono e non fanno nulla per cercare di approfondirla. Vengono in mente le parole dell’Apocalisse, dove il Signore dice: Ecco, io sto alla porta e busso. E cosa succede a chi apre la porta e lo fa entrare? Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Cosa vuol dire questa frase? Ce lo spiega il Vangelo di oggi. Gesù manda i suoi discepoli in missione. Ed è interessante. Noi pensiamo che la missione sia andare a fare qualcosa per qualcuno. Invece Gesù manda i discepoli in missione per essere accolti. Chi li accoglie, accoglie lui. Non sono i missionari a dover portare l’acqua a chi non ce l’ha, ma sono quelli che li accolgono a dover dare ai missionari un bicchiere d’acqua fresca a loro. E’ forte questa cosa, non ce ne rendiamo conto a sufficienza. Io vengo da te povero, senza niente, così come sono, per quello che sono, e quindi ti metto nella condizione di accogliermi non per quello che ti do, ma per quello che sono. Io chi sono? Sono figlio di un Dio che è Padre. Se tu mi accogli così come sono, e mi dai da bere dell’acqua fresca, cosa succede? Che mi tratti come un fratello, e così tu accogli Gesù perché diventi anche tu, come lui, figlio di Dio. E io a mia volta accolgo te per quello che sei e ti dico: vedi chi siamo noi? Figli amati di un Dio che ci è Padre e che a sua volta ci ama come figli perché noi ci amiamo come fratelli. Cenerò con lui ed egli con me. Ecco cosa vuol dire: che diventiamo tutti una cosa sola col Signore. Dio tutto in tutti: il Regno di Dio che si realizza. Siate misericordiosi come il Padre, era la frase centrale del vangelo di domenica scorsa, ricordate? Misericordioso è un aggettivo che significa che l'essenza, la sostanza di Dio Padre, è che è Madre, perché la parola ebraica misericordia si riferisce all'utero materno, all'utero della madre che accoglie e da la vita. Dio è perfetto a differenza nostra, perché ci ama così, e noi diventiamo come Dio se diventiamo misericordiosi come Lui. L’accoglienza, l’ospitalità, è la traduzione concreta della misericordia, del modo in cui Dio ci ama e noi dobbiamo imparare ad amare. Provate a pensare, nel concreto. Il verbo greco che viene tradotto con accogliere significa sentire e capire le parole dell’ospite, i suoi desideri e i suoi bisogni, e dunque accoglienza significa ascolto, compiacenza, gentilezza, amicizia, stima. Mi vengono in mente le bellissime parole che si dicono gli sposi nella rinnovata formula del matrimonio. Non più: prendo te, ma accolgo te, cioè ti ospito nella casa del mio cuore, ospito i tuoi desideri e bisogni, ti offro tutta la mia stima per quello che sei così come sei. E’ così che ci accoglie Dio, ed è così che dobbiamo farci accogliere e accogliere gli altri. Questa è la missione della Chiesa e quindi di ciascuno di noi. Nella Bibbia si ripete spesso che Dio ama lo straniero, e Israele deve (è un comandamento) amare gli stranieri e i rifugiati che vi arrivavano per trovarvi pace e lavoro in tempo di carestia o per fuggire persecuzioni e ostilità, perché Dio per primo ha amato Israele quando Israele ancora non era un popolo e quando era straniero in terra d’Egitto, come ama ciascuno di noi quando gli diventiamo stranieri e nemici coi nostri peccati, perdonandoci. Dunque chi offende, opprime, non rispetta lo straniero si pone al di fuori dell’alleanza, del retto rapporto con Dio. E questo, vedete, non sono io o papa Francesco a dirlo, ma Dio stesso. E Dio lo ha detto facendosi lui povero e straniero per essere accolto, fin dalla sua nascita, e per lui e i suoi genitori subito non vi fu accoglienza nelle case di Betlemme. Nella sua vita pubblica Gesù era uno straniero che chiedeva accoglienza e ospitalità presso amici, non aveva dove posare il capo, e spesso veniva rifiutato. Ma rispondeva al rifiuto accogliendo a sua volta tutti coloro che venivano da lui, a partire da coloro che Israele giudicava stranieri o peccatori. Capite le ripercussioni politiche di questa parola che oggi ci raggiunge in un momento così epocale come quello che stiamo vivendo? Ma senza andare troppo lontano, non dimentichiamo come spesso sia difficile accogliersi in famiglia, accogliere il vicino di casa, il collega di lavoro, la persona presente qui in chiesa di fianco alla quale magari uno non si siede perché non la sopporta. Per un discepolo del Signore, nessuno è straniero e ogni uomo è fratello a prescindere da tutto, e come tale deve essere considerato e trattato, perché è così che Dio tratta ciascuno di noi. Altrimenti siamo fuori dalla comunione con Dio, e fuori dalla vita eterna. Questa cosa deve darci seriamente molto da pensare. Perché, ripeto, non sono io a dirlo e neanche il Papa. (don Marco Rapelli)