IV DOMENICA DI AVVENTO

4 dicembre 2016

Il servo di Dio mons. Tonino Bello, a proposito di chi vive senza speranza, scriveva queste parole molto belle: “La vera tristezza non è quando, la sera, non sei atteso da nessuno al tuo rientro in casa, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita”. Il tempo di Avvento che stiamo vivendo vuole aiutarci a capire che la vita è tutta giocata sull’attesa, sul compimento dei nostri desideri più profondi di gioia che portiamo nel cuore, e di qualcosa o di qualcuno che possa compierli, realizzarli. Il problema è che spesso, quando la vita picchia duro, si perde la speranza, a fronte soprattutto di disastri, tragedie, malattie, o quando non ci si sente amati e ci si sente soli, per non parlare della morte che sembra chiudere ogni barlume di speranza. Ma se ci pensiamo bene, accade che anche quando qualche nostro progetto o sogno si realizza, siamo incapaci di accontentarci, perché vorremmo sempre qualcosa di più. Non c’è mai nulla che riesca, in fondo, a realizzarci completamente. Davvero, come diceva il testo di una canzone che cantavo da ragazzo, “tutta la vita chiede l’eternità”. Per questo sant’Agostino scriveva, rivolgendosi a Dio: “Ci hai fatti per Te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. In questo senso, “Dio” è davvero il nome più grande capace di esprimere il fondamento e il compimento di tutti i desideri più profondi di gioia degli uomini di tutti i tempi, compresi noi. Nel brano di Isaia di oggi c’è scritto: “Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo. Secca l’erba, il fiore appassisce, ma la Parola di Dio dura per sempre. Allora annuncia con forza: consolate il mio popolo, ditegli di non temere, perché il nostro Dio viene con potenza, ha con sé il premio, come un pastore fa pascolare il suo gregge, lo raduna, porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”. Ecco, questo è quello che tutti noi vorremmo, e quando smettiamo di sperare, come dicevo all’inizio, smettiamo di vivere. Così gli abitanti di Gerusalemme speravano l’avvento, la venuta del Messia che con la potenza di Dio, ben armato, su un cavallo da guerra e coi soldati sarebbe arrivato per cacciare gli invasori romani. Anche noi nella messa cantiamo “Osanna”, che vuol dire “Salvaci, Signore, guarda giù e fai qualcosa”. E Gesù ci ha fatto vedere in che modo Dio guarda giù e fa qualcosa. Lo fa, ma non nel modo che vorremmo noi. Il mite ingresso di Gesù a Gerusalemme cavalcando un’asina è simile al momento della sua nascita a Betlemme e allo stile adottato da Gesù in tutta la sua vita, fino alla morte di croce. E questo stile mostra in che modo Dio fa il suo ingresso nel mondo, in che modo Dio viene e continua a venire. Dio diventa un uomo assumendo in tutto e per tutto le difficoltà, i problemi e le speranze di ogni uomo, per insegnare all’uomo come vivere la vita, mostrando che solo una vita vissuta con amore e per amore, fino alla morte, porta alla vita eterna. Gesù viene nel mondo, dice l’autore del brano della lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato, per fare la volontà di Dio. E la volontà di Dio è una sola: che noi viviamo la vita come l’ha vissuta Gesù. E’ così che otteniamo la salvezza: fate questo in memoria di me, cioè fate quello che ho fatto io, vivete come me. Quindi tutto dipende da me, da te, da noi. Dio non cambia i destini del mondo. Belli o brutti che siano dipendono da noi e dalle inesorabili leggi della natura. Ma vivendo con lo Spirito di Gesù, cambia il nostro modo di affrontare le pene e le gioie della vita. Affrontiamo la vita sapendo che siamo destinati alla risurrezione, alla vita eterna, se viviamo con Gesù e come Gesù. Questa è la salvezza. Se capisco questo sono salvo, non sono più vittima delle mie paure, trovo la gioia di vivere, la mia inquietudine trova riposo in Dio, in questo Dio, non in quello che mi invento io, e dunque la mia speranza rinasce, non mi sento più solo, capisco che il desiderio di eternità presente in me non solo si compirà un giorno, ma può cominciare a compiersi adesso. Ma perché questo accada, devo imparare a convertirmi, e cioè a cambiare il mio modo di pensare Dio per imparare a pensarlo nel modo che mi ha fatto vedere Gesù. Ed è sempre Isaia a suggerirci come fare: “Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata”. Cioè, dobbiamo creare una via rettilinea e piana per accogliere questa bella notizia. Come? Abbassando i monti e i colli della nostra supponenza e del nostro orgoglio, riempiendo le valli del nostro vuoto interiore con la Parola di Dio. Dove? Nel deserto, cioè in un luogo di silenzio e di essenzialità. E questo luogo è il nostro cuore. Nel silenzio e nella preghiera. Lì il Signore viene, compie il suo ingresso e può trasformarci, perché è Lui che ci trasforma, ma noi dobbiamo creare le condizioni. Purtroppo, nella vita di ogni giorno, e parlo anche per me, sembra che ci sia sempre qualcosa di meglio o di più urgente da fare. E infatti i risultati negativi si vedono...
don Marco Rapelli