I DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA
4 settembre 2016
Sarebbe bello predicare avendo una cartina geografica che ci aiuta a localizzare tanti nomi di luoghi che leggiamo nella Bibbia, per averli sotto gli occhi. Nel vangelo di oggi, per esempio, si parla delle terre di Zabulon e Neftali in Galilea. La Galilea è la regione più a nord della Palestina, dove ci sono le città di Nazareth e di Cafarnao, e Zabulon e Neftali erano due zone della Galilea, il cui nome derivava da due delle dodici tribù di Israele. E’ lì che il vangelo di Matteo fa iniziare la predicazione di Gesù. Gesù era andato in Giudea, a sud, dove ci sono, per intenderci, le città di Gerusalemme e la piccola Betlemme. Lì c’è il deserto, dove rimase 40 giorni. E lì, sulle rive del Giordano, predicava il Battista e Gesù ricevette il battesimo. Dopo il suo arresto, Gesù pensò bene di andarsene al Nord, e Matteo interpreta questa cosa come la realizzazione della profezia di Isaia che diceva come i popoli di queste terre che vivevano nelle tenebre avrebbero visto per primi una grande luce. Questo perché la Galilea era piena di pagani, infatti è chiamata Galilea delle genti. E le prime parole pronunciate da Gesù nel Vangelo di Matteo all’inizio della sua attività e della sua predicazione sono le stesse che diceva il Battista prima di essere arrestato: convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino. Anche il profeta Isaia, circa 700 anni prima di Cristo, diceva al popolo di Israele le medesime cose: convertitevi. Lo abbiamo ascoltato nella prima lettura. Di per sé, tutti i profeti della Bibbia, seppur ciascuno in modo diverso, ripetevano sempre il medesimo invito alla conversione. Perché in fin dei conti tutta la Bibbia, in particolare l’Antico Testamento, racconta una cosa sola: l’amore di Dio per il suo popolo Israele, e il suo popolo che nel corso della sua storia tormentata che abbiamo ripercorso nelle sue tappe fondamentali durante le settimane passate del tempo dopo Pentecoste, da Abramo ai Maccabei di domenica scorsa, non fa altro che essere infedele a questo amore. Ed è la nostra storia, la storia dell’uomo di sempre, anche di noi cristiani. Al posto di Zabulon e Neftali possiamo mettere la Brianza o l’Aspromonte, l’Asia o l’America, casa mia o la casa del mio vicino. Più in profondità, possiamo mettere la mia interiorità: la Galilea delle genti che ha bisogno di vedere la luce è luogo di tenebra e di morte, separato da Dio, pieno di egoismo e disperazione, e non si trova in qualche luogo della terra, non si rintraccia su qualche cartina geografica, semplicemente perché è dentro di me. E’ dunque dentro di me che Gesù porta l’annuncio di una grande luce che è l’amore di Dio a cui convertirsi. I profeti, che a seconda delle diverse epoche e situazioni, cercavano di richiamare il popolo ad essere fedele al Signore, non venivano ascoltati, così capitò ad Isaia, fino ad arrivare al Battista, per non parlare di Gesù, che era ben più di un profeta. La parola conversione suggerisce l'immagine di una persona che, accorgendosi di camminare su una strada sbagliata, decide di tornare sui suoi passi e di incamminarsi in una direzione diversa. Quindi la conversione è una presa di coscienza "esistenziale" e che conduce a cambiare il corso della propria vita, riorientando i propri atteggiamenti e comportamenti secondo criteri diversi da quelli seguiti fino a quel momento. Per noi significa vivere la vita secondo i criteri che Gesù ci ha insegnato. Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino. E’ lui il regno dei cieli, perchè Gesù rivela la legge divina che regola l’universo, quella di un Dio che è Padre che ama i suoi figli perché i suoi figli si amino come fratelli. Paolo, nel brano della lettera ai Romani, parla precisamente dell’amore di Dio che ci ha riconciliati a lui, nonostante le nostre infedeltà. Anzi, proprio a partire dalle nostre infedeltà: ci ha amato quando gli eravamo nemici. Dio rispetta la nostra libertà di fare il male e cosa fa quando facciamo il male? Non aggiunge altro male, ma si dona. E così siamo chiamati a fare anche noi. Questa è la conversione. Cambiare testa, assumere il pensiero di Cristo che rivoluziona il nostro modo di vedere Dio, noi stessi, gli altri, la vita e la morte. Quando? Ora, il Regno dei cieli è vicino. La traduzione esatta non è vicino, ma qui. In genere noi viviamo nei ricordi del passato o nella speranza del futuro, nel “già” che non c’è più o nel “non-ancora” che ancora non c’è. Gesù ci richiama a vivere “ora”, il tempo tra il già e il non-ancora: è l’unico che c’è, il solo in cui incontriamo colui che è. Infatti ciò che desideriamo è “qui”, non altrove. Basta che ci convertiamo, cambiando direzione ai nostri occhi e ai nostri piedi. Ma questa conversione può accadere quando capisco che davvero è conveniente per la mia vita, è l’unica via di salvezza. Ed è possibile perché, come spiegava sempre san Paolo, Dio ha riversato il suo amore in noi con lo Spirito santo. Occorre prenderne coscienza. E come si fa? C’è una parolina magica usata da Isaia, ma che compare tantissimo in altre parti della Bibbia, ed è la parola: calma. Non solo nella conversione, ma nella calma sta la vostra salvezza, perché la calma crea le condizioni per ascoltare la voce di Dio. Calma che vuol dire quiete, silenzio, assenza di rumore dentro e fuori di me, perché Dio parla nel silenzio del cuore e della mente. Qui si aprirebbe un’altra predica, io invece la chiudo qui, ponendo semplicemente una domanda a me stesso e a ciascuno di voi: quanto tempo delle nostre giornate e della nostra vita dedichiamo a questo prezioso esercizio? Che non consiste nel fermarsi a pensare, perché i pensieri della mente fanno più rumore delle macchine in autostrada, ma a lasciar risuonare dentro di noi l’unica parola capace di generare pensieri, sentimenti e decisioni vere, cioè la Parola di Dio. (don Marco Rapelli)