V DOMENICA DOPO IL MARTIRIO

2 ottobre 2016

Amate i vostri nemici: ma io non ne ho di nemici, l’ultimo l’ho ucciso ieri. Fare del bene, benedire chi mi odia, non giudicare: è lo sport preferito dei preti e delle suore nelle loro riunioni, degli uomini al bar e delle donne dal parrucchiere, vero? Porgere l’altra guancia: ma io ne ho solo due. Perdonare chi ti ha offeso: dipende da cosa mi ha fatto. Vedete come per ogni frase di questo vangelo noi abbiamo da obiettare e ci giustifichiamo dicendo: è troppo difficile fare così. In realtà diventa difficile fare così perché in fondo riteniamo che fare così non sia conveniente, sia da stupidi. Il problema è che, ragionando così, ci scaviamo da soli la fossa: primo perché stiamo dando dello stupido a Gesù che queste cose le ha fatte, secondo perché siamo in contraddizione col fatto di definirci cristiani, cioè di proclamarci suoi discepoli, terzo perché non abbiamo capito che avere fede in Gesù vuol dire fidarsi di Lui, e non credere che Dio esiste, perché credere in Dio serve a niente se poi non cambia il mio modo di pensare e di vivere, che consiste poi in quello che diceva san Paolo nel brano della lettera ai Romani, e cioè avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti di Cristo. Perché cadiamo in queste contraddizioni? Perché di fatto dimentichiamo le ultime parole che abbiamo ascoltato, quando Gesù dice che vivendo così avremo una grande ricompensa, che poi è quella già annunciata nelle beatitudini. Gesù proclama i poveri, i miti, i misericordiosi, gli operatori di pace, gli affamati di giustizia, i perseguitati, li proclama beati, non sfortunati. Cioè, che il vangelo è una buona notizia, non una notizia cattiva. Insomma, che vivere così, come ha detto lui, è conveniente, è per il nostro bene, per la nostra gioia. Se Gesù annuncia che Dio è un Padre che ci ama, vuol dire che noi siamo suoi figli, quindi la nostra natura è di essere figli, e dunque o viviamo come figli che amano gli altri considerandoli fratelli, o altrimenti siamo come delle capre che cercano di volare o dei pesci che cercano di camminare. Cioè, non è contro natura vivere così, è contro natura fare il contrario, e infatti il risultato è che viviamo perennemente in lotta, non siamo mai in pace, e trasformiamo il mondo in un inferno, che è esattamente il contrario della volontà di Dio. E il motivo per cui invece pensiamo che vivere così sia contro natura nasce da quello che si chiama peccato originale, che consiste nel fatto di pensare che Dio per primo non ci sia padre, ma sia un padre padrone, un despota, cattivo, giudice implacabile, e se lui è così con noi, anche noi, suoi figli, diventiamo così con gli altri. Da questo peccato Gesù ci ha liberato perché ci ha fatto vedere che è vero il contrario. Per cui dice: voi siete chiamati a diventare come Dio, a diventare perfetti come Lui, e come si fa? Fate come me che sono suo figlio e che vi rivelo che Dio è un Padre che vi ama quando gli siete nemici, che vi ama perdonandovi, che vi giudica, si, ma vi giudica per quello che siete, suoi figli, che vi riempie d’amore perché voi, sentendovi amati, possiate a vostra volta amare come Lui. E dunque, se volete realizzare la vostra vita, diventate come Lui, siate misericordiosi come il Padre, che non deve essere solo la frase slogan che il Papa ha scelto per il Giubileo che sta per concludersi e che troneggia nelle nostre chiese, ma deve diventare lo scopo della nostra vita. Non esistono lupi cattivi, diceva la mamma alla figlia che le chiedeva di raccontarle la favola del lupo cattivo: esistono lupi non cattivi, ma tristi. Certo, perché è la tristezza che ci fa diventare cattivi con gli altri. E la tristezza nasce quando pensiamo di non essere amati per quello che siamo. Invece non è così. Se capisco questa cosa sono salvo, altrimenti sono dannato, ma non ad andare un giorno all’inferno, ma a vivere ora una vita di inferno e a farla vivere agli altri. Il nemico va amato e benedetto perché mi da una grande cosa, ovvero l'opportunità, amandolo, di diventare quello che già sono, figlio di Dio e fratello, e quindi di diventare come Dio che con me fa così. Il male dell’altro serve per far venire fuori il male che c'è in me. Se io reagisco al male col male, mi metto sul suo stesso piano e raddoppio il male. Il male si arresta solo quando io, come Gesù sulla croce, sono disposto a portarne il doppio pur di non farlo. Perché deve esserci qualcuno che comincia a fare il bene, altrimenti non lo fa nessuno. Il primo ad aver cominciato a far così è proprio Dio, nella persona di Gesù. . Io ho tanti diritti, di essere amato, compreso, stimato. Poi vorrei che, anche se faccio del male, l'altro chiudesse un occhio; se ho preso qualcosa che non dovevo a qualcuno, che mi si faccia un condono. Tutti abbiamo questi diritti e questi desideri, e se non c'è uno che comincia per primo a compierli, tutti stiamo male e litighiamo. Ecco la regola d'oro: fai agli altri quello che vorresti che gli altri facessero a te. Cioè, i tuoi diritti, falli diventare dei doveri verso gli altri. Cosa voglio dagli altri? Che mi amino, che mi facciano del bene, che mi perdonino, che siano gentili. Bene, allora comincio io. Perché l'amore, o è gratuito, o non esiste. Non è un merito. Quello è egoismo camuffato da amore: faccio del bene per ricevere del bene, amo chi mi ama. Questo si chiama ricatto, possesso. Prestare qualcosa a qualcuno sperando poi di ricevere con interesse non è amore, è usura. Bene, oggi inizia il mese missionario. I missionari non sono quelli che vanno in giro a convertire la gente. Missionario vuol dire testimone. La Chiesa è missionaria, tutti siamo missionari, nel senso che tutti siamo chiamati ad annunciare al mondo la bella notizia che Dio è un Padre che considera suoi figli tutti, anche quelli che noi consideriamo stranieri o nemici (andate a rileggere la prima lettura), che ci ama in modo smisurato, fin oltre la morte, e l’unico modo per testimoniare questa cosa è cercare di amare gli altri con la stessa misericordia che ha Dio per me, e quindi missione non è convertire gli altri, ma convertirmi io. (don Marco Rapelli)