CRISTO RE

6 Novembre 2016

La festa di Cristo Re, che conclude il tempo dopo Pentecoste e quindi l’anno liturgico (domenica prossima inizia il nuovo anno liturgico con l’Avvento), è una festa bellissima se ne capiamo bene il significato, altrimenti è pericolosissima perché rischia di dare di Gesù e quindi di Dio un’immagine distorta. Il re fa pensare al capo, al forte, al potente, che decide tutto, che giudica, che premia, che castiga, che comanda, e tutti sono sottomessi a lui. Anche le letture di oggi, se non le interpretiamo bene, fanno pensare a Dio in questo modo. Daniele parla di Dio su un trono di fuoco, circondato da una corte e servito da miriadi di persone che da potere, gloria e regno eterno a un altro personaggio, chiamato figlio dell’uomo. Figlio dell’uomo è il Messia di cui parla anche il salmo come di un re al quale Dio ha dato in mano ogni potere, quello di dominare tutto il mondo e di stritolare la testa di tutti i nemici. E Gesù dirà di essere lui questo figlio dell’uomo, simile a un re a cui il Padre ha affidato ogni giudizio, e infatti abbiamo ascoltato la scena del giudizio universale. Infatti, sempre san Paolo dice di Gesù: è necessario che egli regni finchè non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. Ecco, se non si interpretano bene queste parole, poi non c’è da stupirsi se c’è ancora qualcuno che a Radio Maria dice eresie del tipo che il terremoto in centro Italia è un castigo di Dio. Del resto, non dimentichiamo che questa festa di Cristo Re fu introdotta nel 1925 da papa Pio XI per dire che i mali del mondo dipendevano dall’aver allontanato Cristo e la sua santa legge dalla pratica della vita. Certo, non va dimenticato che in quell’epoca stavano nascendo i regimi totalitari del nazismo da una parte e del comunismo dall’altra, e di fronte a un mondo che decideva di fare a meno di Dio, Papa Ratti ribadì la regalità di Cristo per affermare che la Chiesa, il mondo e tutto il genere umano sono sottomessi, consacrati a Cristo. Cosa bellissima anche questa, se però la si intende bene. Se la si intende male, viene spontaneo ribellarsi, perché a nessuno piace essere sottomesso. Però, a tutti piace sottomettere gli altri, perché ciascuno, nel suo piccolo, vuole essere un piccolo re che ha il potere di fare nel suo piccolo quello che in grande può fare Dio, e dunque proiettiamo su Dio i nostri deliri di onnipotenza. Quindi, vedete, ci sono dei termini che vanno chiariti e interpretati bene: re, potere, giudizio, sottomettere ed essere sottomessi. Ora, è vero che Cristo è Re: Gesù stesso alla domanda che gli fece Pilato se egli fosse re rispose di si. E nel Padre nostro ci ha insegnato a pregare: venga il tuo regno. Ma cos’è il regno di Dio? quando Dio regna? In che modo regna? Dio regna quando gli uomini scoprono il suo amore di Padre, capiscono di essere suoi figli amati e si amano tra loro come fratelli. Quindi il potere di Dio è quello di amarci in modo smisurato, onnipotente, perché l’amore può tutto, è capace di stritolare la testa di tutti i nemici, certo, ma non intesi come gli uomini che fanno il male, ma intesi come dice san Paolo, e cioè come i principati, le potenze e le forze del male che ci opprimono e che ci rendono egoisti. Cioè, Dio vince il male con l’amore e col perdono. Questo è il suo giudizio, il tremendo giudizio di Dio, che in realtà è stupendo, non tremendo: che il Padre ci giudica tutti come figli amati, e il Figlio Gesù ci giudica tutti come suoi fratelli, e il Padre e il Figlio ci danno il loro spirito, cioè lo Spirito santo, perché anche noi impariamo a giudicare Dio in questo modo, a giudicare noi stessi come figli amati e quindi a giudicare gli altri come nostri fratelli. E questo è il significato della stupenda pagina evangelica di oggi. Gesù si autodefinisce figlio dell’uomo per far capire che Dio si identifica con ogni uomo, soprattutto col più povero dei poveri e col più bisognoso. E allora il giudizio non lo fa Dio, ma lo faccio io, se giudico a mia volta ogni uomo come mio fratello oppure no. Se lo giudico come fratello e quindi lo amo, vuol dire che giudico Dio come Padre e giudico me come figlio, e allora viene il regno di Dio, e io sono benedetto, altrimenti sono maledetto, perché mi autoescludo dalla comunione con Dio e quindi dalla salvezza perché io posso realizzarmi solo se mi riconosco figlio vivendo come fratello. E io divento come Dio solo amando. Allora si a questo si capisce cosa significa la sottomissione della Chiesa e di tutto il genere umano a Cristo: e cioè che tutti siamo sottomessi all’amore di Dio. O capiamo questa cosa e viviamo secondo la legge dell’amore di Dio che permette a tutto l’universo di andare avanti, o altrimenti siamo fregati, perché invece del regno di Dio costruiamo l’inferno. Il regno di Dio, dice sempre san Paolo al termine del brano di oggi, è quando capiamo che Dio è tutto in tutti. Pensate che la stessa cosa la disse anche un mistico islamico del 1200, Gial al-Din Rumi: Tu non sei una goccia nell'oceano ... tu sei l'intero oceano in una goccia. Cioè in Dio ci muoviamo ed esistiamo, di lui respiriamo. Come se un pesce nell’oceano andasse alla ricerca dell’oceano senza rendersi conto di esserci già dentro. Ecco perché, alla luce di tutto questo, è una scelta azzeccatissima quella di abbinare a questa festa la giornata diocesana della Caritas, perché è proprio vivendo la carità fattiva verso coloro che hanno più bisogno che noi celebriamo, non a parole, ma coi fatti, la regalità di Cristo e la nostra appartenenza a Lui.
Don Marco Rapelli.